B R E N D A P O R S T E R
di qua si estende un paesaggio scarno
di la’ un cane si avvicina
abbaia
fingiamo di non avere paura.
aspettiamo
che rispondano al nostro suonare
le finestre della casa ci fissano
scure.
se dovesse aprirsi il cancello
mi chiedo
quale lettera direbbe
il suo cigolio?
Soglia
in quest’alba
del risveglio opaco
gli assenti si affollano
fuori
ascolto attentamente
per distinguere
nel loro bisbiglio
la vocale mancante
LA CASA D’INFANZIA
Muri
le pareti sottili delle villette a schiera
lasciavano filtrare le grida
dalla casa accanto
sorridevamo sornioni
-- sana schadenfreude infantile --
ben sapendo che anche i nostri litigi
venivano reciprocamente ascoltati
e il giorno dopo quanto imbarazzo
a salutare la signora
seduta sul patio condiviso
d’estate quando rientravamo
dai nostri giochi di strada
(sfide di palla e di parola)
era confortante la compagnia
della voce sullo schermo
fosforescente della tv accesa
c’era un quotidiano baccano metallico
quando la mamma cercava una padella
tra quelle ammucchiate nel forno
per preparare la semplice cena familiare
(spassosi rumori urticanti
riempivano i muri dell’ infanzia)
Tavola
A tavola!
Non stavo mai composta a tavola --
con una gamba ripiegata
e l’altra che ciondolava a vuoto
immergevo il cucchiaio nel piatto,
ma la mia ingordigia era tutta
per lo scritto: l’alfabeto
era il cibo che desideravo divorare.
A volte tenevo un libro nascosto
(non sempre permesso persino
nella distratta tolleranza di casa mia).
Al bisogno si prestava una scatola di cereali
con l’incanto dei suoi ingredienti --
frumento, sciroppo di glucosio, agente lievitante
(e cosa era un agente lievitante
e dove voleva volare?)
Anche la pastina a forma di lettere
serviva a comporre amorosamente
parole salvate dall’annegamento
nel laghetto del brodo di pollo.
L'acquaio
Dalla coda dell’occhio la vedo
davanti all’acquaio
tra un piatto risciacquato e l’altro
fa il tip-tap per me
e per l’amica invitata a pranzo
(un panino al tonno, forse,
una mela o un dolcino,
con la fretta di tornare a scuola
per le lezioni pomeridiane).
Da bambina aveva cantato
alla radio per ‘The Children’s Hour’
and here she is now for you --
little Dorothy Polsky!
avranno detto.
e io che la guardo ora, incerta
tra l’imbarazzo e l’orgoglio
di avere una mamma così.
Il forno
‘Nothin’ says lovin’ like somethin’ in the oven …’
Forse a fare decidere la mamma
era stata l’ultima visita della zia antipatica
che aveva cani e non bambini
e che portava sempre ‘qualcosa fatto in forno’,
piazzandolo sul tavolo di cucina
con quella sua aria di superiorità.
E adesso eccoci a guardare
in dubbioso silenzio l’enormità
che cresce nel forno:
continuano a gonfiarsi
i biscotti.
Quando li tiriamo fuori
e, caute, li assaggiamo
sanno di sale
e di amaro.
Stoviglie
Innamorata di bowl
da sempre
e meno di ciotola --
bowl è più tonda
e profonda
con la ‘o’ che gira nella gola
per risalire sulla lingua della ‘l’
seguendo la curva della cosa.
Vasca
Il libro era gonfio e le pagine increspate
per tutte le volte che era caduto
nella vasca dove mi avevano consigliato
di stare a mollo nell’acqua colloidale
mezz’ora tre volte la settimana.
Erano mezz’ore di immersione
voluttuosa nel giambico dei versi
– I must go down to the seas again,
to the lonely sea and the sky –
mentre fuori I fratelli picchiavano alla porta
dell’unico bagno di casa.
Cercavo di non sentire il loro bisogno
mentre nell’acqua scivolosa ondeggiavo
e i versi mi si appiccicavano alla pelle
prima di uscire dalla vasca
sgocciolando sillabe.
tutti i ripostigli hanno una porta segreta
in fondo
tutti i bambini lo sanno
così quando ho raccontato alla mamma
del ripostiglio della vicina di casa
con la faccia tosta della convinzione
lei ci ha creduto davvero
e ha concluso che lì stava
il loro denaro nascosto
e io invece sapevo
che oltre quella porta
c’era un torrente cristallino
dove nuotavano pesci d’oro
e che l’erba di smeraldo assoluto
era fragrante di voci.
La mia gente non faceva i giardini
forse perché aveva il deserto nel sangue,
ma io il giardino ce l’avevo in testa
(chi sa quale vento portò i semi).
Il primo anno fu duro vangare -
le mie mani bambine fecero solo
un’aiuola minuscola
dove uno per uno li piantai –
bruni come i noccioli di ciliegia.
E le notti d’estate si riempivano
con i macchi, fucsia e bianco,
dei mirabilis jalapa – belle di notte,
meraviglie di Perù.
COLLEZIONI
Non colleziono cose
ma si può dire, forse,
che le cose collezionano me:
i libri, ovviamente,
con il loro prepotente imperio;
i vestiti accumulati con gli anni,
triste ricordo di taglie superate.
E poi ci sono le spezie
dai colori e nomi sgargianti:
il verde dei semi di cardamomo
e il giallo di curcuma
fanno entrare in cucina
il volto dell’amica di Mumbai;
la rossa polvere ungherese
che serviva per il pollo paprikas
con il suono che si spargeva
in ogni stanza della casa a New York;
il cumino marrone per il Tex-Mex,
le bacche di ginepro colti nel bosco
quell’inverno,
i neri semi di papavero
cosparsi sopra il pane di segale
e l’arcobaleno dei chicchi di pepe …
tutti in fila sugli scaffali
sopra l’acquaio a comporre
un murale d’allegria.
Un balcone, si sa, apre la vista
all’orizzonte di tegole.
Il mio balcone è piccolo, introverso,
con la sua frangia di verde
si gira su se stesso, racchiude
una mia intimità.
Non so se si poteva chiamarla cantina --
non era buia, un raggio di luce
filtrava da una finestra in alto --
a volte nella penombra giocavamo
a saltare da un cesto di ferro.
Quel giorno lo sentivamo: qualcosa
sarebbe successo. Eccitate,
gustavamo la nostra paura.
Quando un piede mi s’impigliò
in un filo cadi, male,
battendo il viso sul cemento.
Mi venne il sangue al naso.
Passarono gli anni prima che capissi:
quello era il giorno che morirono
Ethel e Julius Rosenberg.
Televisione
Quelle erano lunghissime serate d’estate
quando giocavamo per strada con la palla
e con la parola sull’altalena nel patio.
Al rientro era sempre accesa,
la televisione, con la sua fosforescente
verde inquietante, nel salotto
vuoto.