L E T I Z I A F A N F A N I
***
La luce inafferrabile attraversa
il vetro beffardo
Il legno colloso di miele
nasconde incognite visioni.
Il grigio di piombo si spalanca
su sorsi di vento.
Il piede sonnolento e impaurito
indugia.
***
Cerco un vento di luce
che sciolga le ombre,
vele spiegate aprano il respiro
falciato dalla notte.
Gli occhi affamati non vagano più
divorando altre stanze,
altri mondi.
***
La tesa color topo
taglia severa le lastre d’inverno
scivolano verso giorni rinnovati.
La pancia rotonda di luci, il tepore
spalanca i suoi occhi ad occhi
che rubano e annusano fotogrammi di vita.
IL MURO
Il bianco assoluto inghiotte
lo sguardo
si perde nel mare dei quadri possibili.
Ossa di mattoni prosciugano
i suoni
separano mondi paralleli.
Il letto
Allungavo il giorno
con un pesce, due orsetti e una pistola.
Poi sono stata a lungo in un braciere
le orecchie tese verso urla non così lontane.
Dopo è stato un mare di finta bonaccia
su cui ho posato i miei fardelli di niente.
Ora riposo in un ventre calmo
sospesa nell’attesa.
***
Mai a pancia in su
esposta
agli schiaffi o alle carezze dei sogni.
Meglio rannicchiata nel grembo di cotone
le spalle
coperte ma i pensiero che vanno
L’armadio
Stanno appesi, sospesi ad un gancio di vita
oppure distesi, ma disciplinati.
Ascolto il profumo del nuovo e suoni
già annusati, forse da riporre per sempre.
Chiedo un giorno in più per stringere il coraggio.
Il comodino
Una tregua in ordine sparso
oggetti e pagine
come idee
Il cassetto
Ripongo in ordine nuove possibilità
ma il vento perde il suo fiato.
Un velo di abitudine scende sul caos,
è difficile il distacco anche se i gesti si copiano stanchi.
Un taglio netto fa spazio al fluire dei giorni.
***
Candele, sali e bolle di schiuma
si infrangono
fra una centrifuga e chicchi di gatto.
Eppure proprio lì si rinnovano
sorprese e conferme
fra matite e detersivi.
Il divano
La zavorra sprofonda ma non molla la presa
la frenesia trova a volte un approdo
mentre gli occhi annusano muri di vento
Immagino il silenzio quieto di pagine in attesa
Il tavolo
Il piano solido
aspetta paziente
trasparente come le mie intenzioni
che non poggiano mai
su gambe sicure
La libreria
Le guardavo affamata,
costole sobrie imbevute
di segreti e promesse
suppellettili mia condivise.
Un’eredità rimasta feto
ha preso il volo ma
qualche granello è rimasto
e attende concime.
La radio
Occhio solitario che ruotando
vira i miei pensieri
corpo etereo pretende attenzione
e come spugna risucchia le ombre.
La televisione
Vuoto che si riempie di vuoto:
un rumore di sottofondo
dal deserto nella stanza dei giochi
al brusio in un bar di estranei
Un palinsesto logoro tiene il sonno vigile
Il frigorifero
La sua porta si spalanca sul ventre
in attesa di scorte bulimiche:
promessa di convivi improbabili e pasti ordinati
Memoria di festosa abbondanza
in un’estate lontana
che si squaglia in contenitori dimenticati
Il forno
Lo imbocco
come vestale che offre
la promessa di un focolare intimo
Ricambia
sgonfiando le sue fauci benevole
con invisibili nuvole di biscotto
L’acquaio
Va tutto lì,
la fatica dei mei pasti solitari
Guardo i resti
che non se ne vanno
Il secondo cervello trattiene
i rifiuti di ore nemiche
Le stoviglie
Le chicchere da signore
i piedini sui piedi
La cena sparecchiata col magone
domande silenziose
Un piatto sul divano
fanali di occhi negli occhi
La televisione
Vuoto che si riempie di vuoto:
un rumore di sottofondo
dal deserto nella stanza dei giochi
al brusio in un bar di estranei
Un palinsesto logoro tiene il sonno vigile
***
Carezze di vento e scaglie di luce
tendono gli occhi
Sirena che chiama
verso praterie nebbiose, colori sbavati
Inverto fulmineo i miei passi
mi accovaccio prudente, sorseggio fantasia dietro le sbarre