C A N T I N A
***
Se penso
ai miei piedi di ragazza
che dentro a queste scarpe
si andavano a sposare,
al corpo giovane
che ancora non sapeva
di sé, di segni e di sventure
una tenerezza strana
mi accade
mi guardo , lontana,
mi assolvo
e mi perdono
HILDE MARCH
***
il buio sale dagli occhi
la condensa ogni volta
poche spine alla gola
è il dazio per la via di mezzo
tra l’acqua e la terra
chiamarono un rabdomante
quaggiù
si scavò un pozzo
e fu pescare tutto il dimenticato
squame dalle forme antiche
La falda aperta erutta
e tra le mani fiorisce l’erba.
***
Non so se si poteva chiamarla cantina --
non era buia, un raggio di luce
filtrava da una finestra in alto --
a volte nella penombra giocavamo
a saltare da un cesto di ferro.
Quel giorno lo sentivamo: qualcosa
sarebbe successo. Eccitate,
gustavamo la nostra paura.
Quando un piede mi s’impigliò
in un filo cadi, male,
battendo il viso sul cemento.
Mi venne il sangue al naso.
Passarono gli anni prima che capissi:
quello era il giorno che morirono
Ethel e Julius Rosenberg.